Sequestrabili per equivalente i beni conferiti al fondo patrimoniale di proprietà comune dei coniugi

 In materia di reati tributari i giudici si trovano sempre più spesso a dover affrontare la questione della sequestrabilità di beni non formalmente intestati all’imputato, ma che di volta in volta risultano di proprietà o della stessa società “beneficiaria” degli effetti del reato tributario o di terzi soggetti, finanche trust o fondi patrimoniali. Con la sentenza n. 129 del 07/01/2014 la Suprema Corte ha ritenuto legittima l’ordinanza con la quale il GIP del Tribunale di Sassari aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ex articolo 322-ter Cod.Pen., di beni immobili intestati al fondo patrimoniale costituito dall’imprenditore, indagato per reati tributari, unitamente alla moglie, nonché di somme di denaro sul conto corrente intestato alla coniuge. La questione sottoposta ai Giudici non verte sulla sequestrabilità per equivalente dei beni intestati alla società, ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della stessa, questione peraltro già rimessa al Primo Presidente per un eventuale rinvio alle Sezioni Unite, ma ha ad oggetto il profilo della non sequestrabilità del bene immobile di cui al fondo patrimoniale, bene che prima della costituzione del fondo era di proprietà esclusiva della coniuge del ricorrente, soprattutto alla luce del fatto che i coniugi erano in regime di separazione patrimoniale. Confermando l’orientamento espresso in altre pronunce sulla possibilità di apporre il vincolo cautelare sui beni costituenti il fondo patrimoniale (Cfr. sentenza n. 18527 del 03/02/2011 e n. 40364 del 19/9/2012) la Cassazione ritiene non rilevanti né il regime patrimoniale prescelto dai coniugi né la proprietà esclusiva della moglie prima del conferimento dell’immobile nel fondo. Secondo la Suprema Corte, con il conferimento del predetto bene al fondo la proprietà spetta, ex lege, ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costituzione; ciò che rileva ai fini dell’applicazione del vincolo cautelare è, pertanto, la disponibilità al momento del disposto sequestro. Una seconda censura mossa all’ordinanza del GIP attiene la legittimità di confiscare beni dell’indagato, a fronte di un profitto conseguito da altro soggetto, i.e. la società quale reo “formale”. Sul punto la Corte ribadisce che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ex articolo 322-ter Cod.Pen., a differenza del sequestro preventivo di cui all’articolo 321 Cod.Proc.Pen., comma 2, ha ad oggetto l’equivalente del profitto del reato, e quindi, addirittura, anche cose di terzi estranei che non sono collegate con il singolo reato. La Cassazione precisa, poi, che il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 (una delle contestazioni mosse all’indagato), confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. In ordine all’asserita illegittimità del provvedimento per aver disposto il sequestro sulle somme di cui al conto corrente del coniuge, il ricorrente ritiene che queste non sarebbero sequestrabili per equivalente laddove non sussistano indizi chiari in ordine all’utilizzo illecito che delle stesse è stato fatto da parte dell’indagato. Secondo la Corte qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. Non è, dunque, richiesto, ai fini della sequestrabilità per equivalente delle somme sul c/c del coniuge dell’indagato, che debbano sussistere indizi chiari in ordine all’illecito utilizzo che dello stesso è stato fatto da parte del coniuge indagato giacché, altrimenti, si verrebbe a ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra la “res” ed il reato che la legge, con l’istituto della confisca per equivalente, ha inteso invece escludere.